mercoledì 7 settembre 2016

BANCA CONDANNATA A 42.000 EURO AL TRIBUNALE DI MANTOVA

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Ancora sull’onere probatorio: una sentenza che farà rumore

La sentenza in esame, la cui controversia è stata acutamente curata dal prof. Di Loreto, presenta indubbi profili di novità, soprattutto per quanto attiene alla questione dell’onere probatorio, in tema di contenzioso bancario.

Esistono come è noto diverse scuole di pensiero: 
I giudici della sesta sezione del tribunale civile di Milano (condannano addirittura a lite temeraria) ergendosi( noi riteniamo in modo autoreferenziale ed arbitrario) a Giudice di legittimità, statuiscono che, per incardinare un giudizio, in tema di contenzioso bancario, grava sull’attore( sempre ed in ogni caso) la produzione di tutti i documenti: quest’ultimo deve depositare in giudizio il contratto, gli estratti conto ed ogni altra cartula necessaria alla bisogna. In mancanza la domanda si rigetta. Ricordiamo che proprio il prof. Di Loreto ha con una sua causa creato una crepa ed una faglia nel monolitico orientamento del tribunale meneghino sulla querelle dell’onere probatorio, dimostrando ai giudici milanesi che esistono altri orientamenti degni dell’apprezzamento della Corte di legittimità e comunque disattesi dai Collegi ambrogini( vedi sentenza n.5114/2016- estensore Margherita Monte). 
Un’altra tesi sostenuta dal Tribunale di Torino caldeggia l’assunto secondo cui il contratto, se non è prodotto dal cliente, non implica il mancato accoglimento della domanda. Si aggancia all’art.127 del Testo Unico bancario, a tenor del quale le nullità operano solo a vantaggio del cliente e possono essere rilevate dal Giudice d’ufficio. Il che significa che una banca convenuta in giudizio, qualora il contratto non sia prodotto da parte attrice, non può chiedere che la sottesa domanda sia rigettata. Opera la guarentigia dell’art.127, il cui tessuto normativo è a protezione della parte più debole. 
Vi è una terza scuola di pensiero che trova i suoi adepti nei magistrati pugliesi( in modo particolare quelli di Lecce e di Brindisi),i quali asseriscono in molte sentenze pubblicate in diversi siti( ahimè non in quello ex parte creditoris) che, in tema di accertamento negativo del credito, l’onere dell’attore è solo quello di provare l’addebito ingiustificato della Banca( sotto la specie di usura o di incompetenze non dovute, perchè contra legem), senza preoccuparsi della documentazione, che cede nella sfera giuridica dell’istituto convenuto, effettivo creatore e produttore della prova (estratti conto e contratto). E’ questo l’orientamento battezzato dagli interpreti quello della vicinanza della prova. 

Nel caso in rassegna la peculiarità sta nel fatto che il Giudice di Mantova( un giudice del Nord Italia) giunge ad una conclusione, non avendo la banca prodotto il contratto, che tutte le competenze addebitate sul conto siano da restituire al cliente, perché la nullità è radicale: non opera alcun meccanismo sostitutivo, per esempio non si applicano gli interessi convenuti ma quelli legali.

Scrive il Giudice estensore: Parte attrice ha eccepito la nullità totale o parziale del contratto di conto corrente dedotto in lite: è circostanza pacifica (e del resto rilevata dalla scrivente in sede di ordinanza istruttoria) la mancata produzione del contratto di conto corrente che rappresenta il titolo degli addebiti per interessi, commissioni e spese.

Parte convenuta ha sostenuto che “chi propone la domanda di ripetizione è gravato dal dovere di provare il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente nulle, producendo il contratto in questione e indicando la data di apertura del conto corrente e i relativi estratti conto, pena l’evidente natura esplorativa dell’azione di ripetizione proposta”.

Se è pacifico e va qui ribadito il condivisibile orientamento di legittimità che pone a carico del correntista in ripetizione la prova dei pagamenti di cui assume la illegittimità (e segnatamente degli estratti conto), altrettanto non può dirsi in relazione alla prova della esistenza di valido contratto.

Mentre infatti il correntista eccepisce l’invalidità dei pagamenti (in quanto effettuati in difetto di valido titolo, di cui chiede accertarsi la nullità, unitamente alla ripetizione degli addebiti illegittimi effettuati in seguito al predetto vizio), è l’istituto di credito convenuto che, nel sostenere la legittima applicazione degli addebiti di cui si duole controparte, eccepisce tanto la validità del titolo quanto la validità delle clausole pattuite, ed è quindi tenuto, ex art. 2697 c.c., a fornire prova dei fatti sui quali si fonda la predetta eccezione.

Ove infatti, ad esempio, in un rapporto di conto corrente parte attrice in ripetizione si dolga della mancata pattuizione del tasso di interessi ultralegali, non inserita in contratto, ragionando, secondo quanto sostiene la banca convenuta, si dovrebbe concludere che la domanda non potrebbe essere accolta “perché non è stata fornita prova del contenuto della clausola contrattuale” (prova evidentemente impossibile ove la stessa non sia mai stata pattuita); analogamente nell’ipotesi di nullità del contratto per difetto di forma scritta sul correntista ricadrebbe l’impossibilità di provare la illegittimità degli addebiti (perché non è stata da lui fornita prova del contratto), con la conseguenza che le azioni di ripetizione in tutti questi casi sarebbero inaccoglibili.

E’ al contrario la banca a dover dimostrare la validità del titolo e delle relative clausole.

Nella presente controversia il richiamato profilo si interseca con quello circa la prova della validità del contratto bancario: è noto infatti che l’obbligo di redazione in forma scritta dei contratti di conto corrente è stato introdotto dapprima con L. 154/1992 e quindi dal T.U.B. (d. 385/1993).

Nel presente caso, a fronte della domanda di accertamento della nullità del contratto intanto, la banca convenuta non ha né prodotto la relativa scheda negoziale né invero nemmeno allegato che il conto (del quale sono prodotti in atti estratti conto dal 1999) sia stato stipulato addirittura anteriormente alla entrata in vigore della suddetta normativa. Al contempo dalla documentazione in atti non risultano estratti conto anteriori al 1999 (o altra documentazione negoziale), sicché alcun indice di stipula del negozio nel periodo di vigenza del principio di libertà di forma può essere tratto.

Ne consegue la declaratoria di nullità del contratto di conto corrente dedotto in lite, per difetto di valida pattuizione per iscritto, con l’ulteriore corollario che il conto deve essere riliquidato in assenza d’ogni addebito e accredito d’ interessi; spese commissioni e qualsiasi forma di capitalizzazione degli stessi”.

Per il giudice di Mantova l’onere probatorio è contemplato da parte dell’attore solo in ragione della produzione di una perizia con i relativi estratti conto. La sentenza farà rumore.

Mazzano,7.09.2016 avv.Biagio Riccio



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