martedì 1 settembre 2015

IL PAPA, IL POPOLO E LE BANCHE


Riportiamo qui un interessante articolo del Prof. Francesco Vella, 
ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Bologna, edito da Lavoce.info 


Nell’ultima enciclica di Papa Francesco sono contenute importanti riflessioni sul ruolo delle banche. Bisogna però considerarle nel contesto delle regole che governano il sistema bancario e la soluzione delle crisi legate ai salvataggi (e ai soldi) pubblici. Giusta dose di finanza per la crescita.

Le parole del Papa


"Francisco (20-03-2013)" di Presidência da Republica/Roberto Stuckert Filho 
Agência Brasil. Con licenza CC BY 3.0 br tramite Wikimedia Commons.
L’enciclica di Papa Francesco contiene alcune importanti considerazioni sul ruolo della finanza. Quella che ha avuto maggiore risvolto mediatico è che non si possono salvare le banche facendo pagare il prezzo alla popolazione.

In realtà, il racconto dell’enciclica è decisamente più articolato e motivato: il pericolo è che il salvataggio a ogni costo delle banche, “senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riaffermi un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura” (p. 144).

In sostanza, non si è imparata la lezione della crisi e ci ritroviamo “una finanza che soffoca l’economia reale” (p. 85). Sono passaggi significativi nell’impianto complessivo dell’enciclica, difficile da riassumere, ma comunque tutto teso a valorizzare un diverso modello di sviluppo, basato su un approccio integrale, ecologico e responsabile molto attento alle tematiche della povertà e dell’inclusione sociale, dove, sono sempre le parole del Papa, “in ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi”? (p. 124).


Il popolo e i salvataggi bancari


Per declinare il ruolo della finanza in funzione di questi obiettivi è, però, necessario adottare una narrazione, sicuramente più cruda e immediata di quella papale, ma forse più efficace. Innanzitutto, e per quanto possa apparire sgradevole sentirselo dire, le banche bisogna salvarle proprio con i soldi della popolazione.

La lunga storia delle crisi insegna, come diceva Paul Krugman, che gli stati moderni non possono permettersi che vedove e orfani perdano i risparmi solo perché li hanno messi nella banca sbagliata, e la collettività, cioè tutti noi, se ne deve far carico. Naturalmente, nell’evoluzione della regolamentazione il principio ha subito e subisce molti adattamenti. Ad esempio, cercando di salvaguardare solo vedove e orfani e non chi ha molti più soldi, o trovando soluzioni di mutualità interne al sistema bancario, oppure ancora facendo pagare le crisi non solo agli azionisti, ma anche ai creditori forti (proprio in questi giorni il parlamento ha recepito le norme comunitarie che si muovono in questa prospettiva) e naturalmente separando con chiarezza il destino dei banchieri che combinano guai dalle banche che vanno risanate. Ma alla fine se tutto ciò non basta – e, viste le caratteristiche e dimensioni degli intermediari e le fragilità dei mercati, non sono affatto ipotesi lontane – in ultima istanza toccherà sempre ai contribuenti, cioè a noi, tirare fuori i soldi, perché per il particolare rapporto di fiducia che la lega ai risparmiatori, per l’essere il perno essenziale dei sistemi di pagamento e soprattutto per i grandi rischi di contagio del virus anche verso chi sta bene, una banca non può fallire. La storia, quella antica, recente e anche recentissima (quanto può durare un paese con le banche chiuse e con la pancia piena di titoli di stato che non valgono più niente?) ci insegna che dobbiamo abbandonare ogni facile populismo e rassegnarci al fatto che, alla fine, il popolo le banche le deve salvare.


L’interesse dei cittadini


Proprio per questa ragione, però, il primo interesse del popolo è quello di avere un efficace e completo sistema di regole che garantisca la stabilità delle banche e prevenga nella misura più ampia possibile i pericoli di insolvenza. E qui entrano in gioco le altre considerazioni di papa Francesco, importanti, ma forse un po’ troppo drastiche.

Non è proprio vero che non si è imparata la lezione della crisi, anzi nella storia le crisi, con la scia di sofferenze che si portano dietro, hanno avuto sempre la funzione di sveglia per legislatori sonnolenti e anche questa volta non si può certo dire che si sia rimasti con le mani in mano.

Pur con tutte le difficoltà, le contraddizioni, i compromessi e le resistenze lobbistiche, non si possono disconoscere alcuni effettivi progressi: ci sarebbe stato qualcuno pronto a scommettere cinque anni fa sulla nascita di un apparato di vigilanza europeo, che oltretutto funziona anche abbastanza bene? Certo, bisogna fare ancora molto, ad esempio sul terreno delle attività speculative, o delle misure per disciplinare l’oscuro territorio delle “banche ombra”, ma soprattutto, qui il Papa ha perfettamente ragione, bisogna fare molto per ricondurre la finanza al suo ruolo principale, quello non di soffocare, ma di dare aria ed energia all’economia reale.

E qui un piccolo consiglio di un’utile lettura integrativa dell’enciclica. È da poco uscito un policy paper dell’Oecd, Finance and inclusive Growth che dimostra l’importanza del settore finanziario come potente ingrediente per lo sviluppo economico e l’inclusione sociale. Ma, dati alla mano, dice anche che ci vuole la giusta dose: se la finanza cresce troppo ha infatti effetti negativi sia sulla crescita che sulla redistribuzione del reddito. In sostanza, come le vitamine: sono necessarie, ma troppe fanno male.

Francesco Vella 


Bio dell'autore 

Francesco Vella è ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università di Bologna. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in diritto commerciale ha insegnato nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Modena dove è divenuto professore associato nel 1992 e straordinario nel 1998 . Nel 1998 diviene professore ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, dove attualmente insegna nel corso di laurea in Scienze Giuridiche, nella Scuola di Specializzazione delle professioni forensi e nel Master per giuristi d’impresa.

È
 membro della redazione delle riviste “Giurisprudenza Commerciale”, “Banca Borsa, Titoli di Credito”, “Banca, impresa e Società”, “Mercato Concorrenza e Regole” e della direzione della rivista “Analisi Giuridica dell’economia” alla cui fondazione ha contribuito . E’ tra i soci fondatori dell’Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto d’impresa.Ha avuto esperienze di pratica professionale nel campo del diritto bancario e del diritto dei mercati finanziari ed è stato chiamato, in qualità di amministratore indipendente, a far parte del consiglio di amministrazione della Banca Bipop dal febbraio 2002 all’aprile 2002. Redattore de lavoce.info. 


tratto da www.lavoce.info - disclaimer 


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