di Carlo Longari e Caterina Seminara
La riforma dei reati tributari contiene diversi elementi favorevoli al contribuente, a cominciare dalla conoscenza di un potenziale raddoppio dei termini per l’accertamento, nonché la non punibilità in caso di pagamento di quanto dovuto. Ma alcuni effetti della norma destano perplessità. Come cambiano le sanzioni?
Il decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158, entrato in vigore il 22 ottobre, rivede il sistema sanzionatorio penale tributario, quello amministrativo e la disciplina di decorrenza dei relativi effetti.
Evidente l’intento del legislatore di ridurre la rilevanza penale dei fatti di omesso versamento ai soli casi più gravi, lasciando un più ampio spazio all’operatività della sanzione amministrativa. Infatti, tra le principali novità si segnalano netti innalzamenti delle soglie di punibilità e della forbice edittale (il limite minimo e massimo della pena), segnatamente previsti dagli articoli 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 4 (dichiarazione infedele), 5 (omessa dichiarazione dei redditi o ai fini Iva), 10bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate) e 10ter (omesso versamento di Iva).
Inoltre all’articolo 4 i commi 1bis e 1ter escludono l’applicazione della norma laddove i criteri concretamente applicati dal contribuente, benché non correttamente classificati, siano indicati nella documentazione o nel bilancio, ovvero laddove tali valutazioni differiscano in misura comunque inferiore al 10 per cento da quelle corrette. La parola “fittizi”, relativa agli elementi passivi, è inoltre sostituita dal termine “inesistenti” proprio al fine di dissociare l’elusione da potenziali ipotesi di rilevanza penale.
I più cospicui inasprimenti di sanzioni penali si registrano agli articoli 5, 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) e 10quater (indebita compensazione).
Quanto all’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) ora la sanzione penale è estesa a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Iva, e non più solo alle annuali.
In tema di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato, si segnala l’articolo 12bis, il cui comma 1 ripropone la lettera dell’articolo 322ter codice penale, mentre il secondo capoverso dispone che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.
La formulazione lascia perplessi: ci si chiede, infatti, se possa considerarsi ragionevole non ordinare la confisca sulla base di un semplice “impegno a versare”, il cui rispetto sarebbe interamente demandato all’arbitrio del debitore.
Compare, poi, il nuovo articolo 18bis relativo ai beni sequestrati diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, che potranno essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell’amministrazione finanziaria.
L’articolo 13 prevede, invece, un istituto premiale, la cui applicazione discende dal pagamento integrale da parte del contribuente dei debiti tributari, sanzioni e interessi compresi, eseguito in un momento antecedente l’apertura del dibattimento di primo grado per i reati di cui agli articoli 10bis, 10ter e 10quater, comma 1, nonché per i reati di cui agli articoli 4 e 5 laddove detti debiti siano stati estinti integralmente. In altri termini, non risulterà punibile il contribuente indagato o imputato nei cui confronti non sia iniziato il dibattimento del processo penale qualora questi abbia già estinto il debito verso l’erario.
Nulla cambia, invece, per i procedimenti in corso quando sia già aperto il dibattimento, mentre la circostanza aggravante prevista per la creazione di “modelli di evasione fiscale” (articolo 13bis, comma 3) sarà applicabile solo ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della novella.
Mentre le disposizioni amministrative entrano in vigore dal 1° gennaio 2017, quelle penali entrano in vigore subito. Ne consegue che le modifiche, se maggiormente favorevoli, si applicheranno anche ai fatti già commessi prima della sua entrata in vigore.
Dunque, trattandosi di un’abolitio criminis parziale, coloro che hanno evaso l’imposta per somme superiori alla soglia precedentemente determinata ma inferiori alla nuova, laddove non sia ancora stata pronunciata sentenza di condanna, dovranno essere assolti in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato ex articolo 530, comma 1, codice procedura penale.
I condannati con sentenza passata in giudicato, invece, potranno richiedere al giudice la revoca della sentenza stessa ex articolo 673 codice di procedura penale con conseguente cessazione dell’esecuzione della pena principale, di quelle accessorie e degli altri effetti penali della condanna.
I nuovi termini
Sotto un profilo diverso, meramente procedurale, sono cruciali le novità circa i termini per l’accertamento: se prima della riforma l’amministrazione tributaria poteva ottenerne il raddoppio ancorché il termine stesso fosse scaduto, con le nuove norme – qualora la denuncia non sia presentata entro il termine ordinario di quattro o cinque anni a seconda che si tratti di imposte sui redditi (articolo 43 Dpr 600/73) o di Iva (articolo 57 Dpr 633/72) – il raddoppio non avrà luogo.
Trattandosi di un vero e proprio onere in capo all’amministrazione, l’inerzia o la tardività non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere specificamente contestata dal contribuente mediante ricorso ovvero memoria ex art. 24, comma 2, decreto legislativo 546/1992.
Alla luce di quanto detto, sembra evidente che la riforma contenga diversi elementi favorevoli al contribuente, primo tra tutti quello relativo a un’effettiva conoscenza circa un potenziale raddoppio dei termini per l’accertamento, nonché la causa di non punibilità di cui all’articolo 13. Alcuni effetti della riforma destano tuttavia perplessità.
Ci si interroga, in particolare, circa la ratio che giustifica la scelta di determinare il termine a quo (vale a dire iniziale) unicamente per l’applicabilità delle sanzioni amministrative di cui al Titolo II e non anche di quelle penali ex Titolo I: si tratta di errore dettato da una scelta volta a soddisfare esigenze statali di cassa o piuttosto di un’apposita strategia volta, nel frattempo, a preservare il precedente regime più favorevole all’amministrazione?
Fonte: lavoce.info
AUTORI
CARLO LONGARI
Professore a contratto della cattedra di Diritto penale commerciale presso la Facoltà di Economia e Commercio dell'Università "Sapienza" di Roma.
CATERINA SEMINARA
Collaboratrice di Diritto Penale e Diritto Penale Commerciale presso la Cattedra dell'università di Roma Tre.
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